Lorenzo Patàro, 1° classificato Premio Poeti Oggi 2022


Sentire come allora. Bambini-parco-giochi.
Sentire la vita come allora e in un punto
preciso, dentro al petto. Chiaro nitido
pungente. Accorgersi del noto.
Lo spazio tra le cose, tra il piede che si alza
nella corsa e il piede-àncora che tiene.
Polvere, il radioso nello spazio
tra le dita. Sentire un freddo che è lontano,
acuminato. Universo che semina nel petto
qualcosa di antico e benedetto.
In cerchio si osserva la ferita al ginocchio
del bambino, sangue e pelle, il suo frantumo.
Sentire come allora. Farsi tana e nascondersi
era un modo per lasciare il mondo vuoto, farsi
mondo nel mondo e nascondersi nel vuoto
lasciato dalle cose. Qualcuno ci cercava.
E noi acquattati come i morti. In attesa.
Trattenendo il respiro come loro.

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L’infanzia è una miniera inestinguibile di esperienze e di ricordi da cui scaturisce con efficacia la vena della poesia, come sostiene anche Rilke nella sua “Lettera a un giovane poeta”: ne abbiamo un’ulteriore dimostrazione in questa poesia di Lorenzo Patàro che a quel mondo ci porta per mano, per “sentire la vita come allora”, ancora intatta e non contaminata dall’azione lesiva e distruttrice della maturità, del tempo. Quella esperienza, essenziale e irripetibile, si raccoglie nel petto in “un punto preciso”, ci lascia qualcosa, insieme, di “antico e benedetto” da riscoprire, capace di riemergere: “un mondo nel mondo” che non teme di sfidare il “vuoto”, per “farsi tana”, dare protezione e scendere a patti con il silenzio, imparando a trattenere il respiro e a vivere in uno spazio di mezzo, sospeso, catabasi propedeutica a ogni poesia possibile.

Fabrizio Bregoli

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La poesia è viva in ciascuno di noi “in un punto preciso, dentro al petto”. Certi versi sono qui a rammentarcelo: quelli di Patàro sono caratterizzati da un dettato “nitido” che si muove per sequenze visive dal sapore cinematografico, stimolando con talento la memoria sensoriale del lettore che è stato (ed è) quel bambino che ha assaggiato mediante una lunga e spesso rimpianta liturgia di giochi, corse e cadute il sapore dell’esistente; notevole nell’autore è la capacità di elevare il dettaglio, quel “accorgersi del noto”, restituendo tutta l’unicità di ogni nostro istante, slegandolo dalla ripetitività che troppo spesso invece svilisce l’immenso dono di essere in vita. In un crescendo emotivo, il testo si chiude mirabilmente paragonando vita e morte e mostrandoci in un sol colpo così le due facce della stessa medaglia, in un’unica fulgente visione di tutto ciò che siamo.

Gabriele Borgna

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Il cellulare in mano, l’icona e la sentenza. Il tempo, secondo su secondo, per saldare la resa alla notifica. Bocca tappata, testa bassa e l’assenza che risuona. “Hai capito cosa ho detto?”. Che poi, siamo mai stati davvero presenti?
Presenza, in questi versi, come allora. Non è ricordare, ma sentire quella corsa nella vita per la vita, passo su passo, di verso in verso: uno che ti afferra, l’altro che ti spinge. E la virgola tra i punti, la mano alla bocca a difendere il segreto che non saprei neanche più. Perché, non era forse guerra quella? Noi ora, nelle chat acquattati come i morti. Il conto alla rovescia, il fiato stretto, come loro. E il  sopravvissuto che alla fine liberava sempre tutti.

Annunziata Felice

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Non è facile scrivere dell’infanzia, si corre il rischio di essere retorici; ma Lorenzo Patàro riesce a “sentire come allora”, come quando era bambino, e a restituirci delle immagini fortemente evocative, per niente banali. I bambini e il parco giochi sono fusi in un’unica parola (bambini-parco-giochi), come se i bambini stessi fossero un paesaggio, un luogo al quale ritornare. Non è soltanto il luogo dei giochi; è anche il luogo delle ferite (“In cerchio si osserva la ferita al ginocchio / del bambino, sangue e pelle, il suo frantumo”). È un mondo dentro il mondo. “… farsi /mondo nel mondo e nascondersi nel vuoto / lasciato dalle cose”, scrive Patàro. E forse è proprio questo farsi mondo nel mondo il compito, o il destino, della poesia.

Claudia Di Palma

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Grazie a un abile verseggiare ricco di spunti sensoriali, Lorenzo Patàro riesce a rendere il lettore parte attiva del proprio "sentire" che qui è soprattutto coscienza a servizio del tempo e dello spazio. Niente è inutile perché tutto partecipa alla rivelazione e alla creazione, anche la sbucciatura sanguinante diventa lente d'ingrandimento, riorganizzazione dell'amore. Ritengo questo notevole testo una lezione di poesia grazie all'esaltazione dell'attenzione come metodo irrinunciabile del poeta. L'ispirazione non si attende passivamente ma si allena con fatica sulla soglia insidiosa delle pupille, lungo un avamposto di resistenza contro quell'abitudine che rabbuiandoci ci annienta.

Luca Bresciani

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Lorenzo Patàro è nato a Castrovillari nel 1998 e vive a Laino Borgo (CS). È studente di Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Salerno. Bruciare la sete è il suo libro d'esordio (Controluna, 2018).




Vincitore Premio Poeti Oggi 2022