Stefano Bortolussi, finalista Premio Poeti Oggi 2022


Lettera a un esploratore, con rimprovero e perdono

A Juan de Fuca, percorrendo con la mente
la placca tettonica che porta il suo nome.

Sul tuo carattere non so niente di certo,
ma posso immaginare il moto di ripulsa
del navigatore nel vedersi sulle carte
come placca intenta con calma rocciosa
a scivolare sotto il continente:
niente più rotte immaginate per Ioannis Fokas,
greco ribattezzato Juan de Fuca
dalla corona spagnola e padrona, nulla più di un nome
affibbiato a uno stretto di scarsa conseguenza
e a un corpo geologico dal muovere codardo.
Tutti quei sogni di terre sconosciute
passaggi a nord-ovest continenti attraversati
— tutti quei viaggi a percorrere il crinale
tra visione e illusione — ridotti alla marcia nascosta
di fondo marino verso Laurentia,
cratone dal nome ingannevole, terra ferma
per definizione: basterebbe a far rivoltare
l’esploratore della tomba, se il solo pensiero
non causasse timori di altri sismi.
Il senno di poi esagera a chiedere
a chi navigava il sedicesimo secolo
di avere vista così acuta e a lungo raggio
da prevedere la catastrofe che ancora oggi
la scienza dissenna: seicento anni sono troppi
anche per chi traccia rotte sulle coste ignote
degli oceani: ma forse poco più di un secolo
avresti potuto navigarlo, Juan de Fuca,
fino a quella sera di gennaio del 1700
che mise fine alla tribù intera di Pachema Bay,
strappata dall’onda gigante al suo pacifico
vivere di pesca, e i cedri rossi sulle rive di Copalis
vennero ridotti di colpo a tronchi grigio-argento
senza rami, foglie e corteccia, pietre tombali di sé stessi,
e dieci ore dopo, nell’ottavo giorno
del dodicesimo mese dell’anno duodecimo
dell’era Genroku, il muro d’acqua
crollò sulle coste del Giappone senza scosse,
orfano di causa apparente, campione incosciente
di traversata oceanica e per questo motivo ulteriore
di bestemmia d’alto mare: ma questa è la storia
come è andata, Ioannis Fokas, e per di più
è storia sovrumana, lenta silente inesorabile,
e non c’è nulla che si possa fare per sfuggirle,
ora come allora,
                             come sempre.

*

Stefano Bortolussi, poeta, romanziere e traduttore letterario, è nato a Milano. Tra le sue principali raccolte di poesia Ipotesi di caldo (Book Editore, 2001), Califia (Jaca Book, 2014), I labili confini (Interno Poesia, 2016), finalista al Premio Internazionale Città di Como 2017 e Paternalia (Stampa 2009, 2020). Ha pubblicato i romanzi Fuor d’acqua (peQuod, 2004), Fuoritempo (peQuod, 2007), Verso dove si va per questa strada (Fanucci, 2013) e Billy & Coyote (Effigi 2017). Sue poesie sono comparse nell’antologia Bona Vox a cura di R. Mussapi (Jaca Book, 2010), nel terzo Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea e online su numerosi siti italiani e internazionali.



La poesia contemporanea in lingua italiana