Francesco Iannone, "Prima opera del gesto", peQuod, 2022
Qui c’è una grazia di mantelli sull’acqua
una descrizione nuova
della caduta.
Il tuo vero tu galoppa gli stormi
depone il suo piccolo raggio
frag li alberi
si posiziona al culmine del crollo
dove il bambino abbatte il monumento
in solitudine.
Che ti avrei amato con lo stesso smarrimento
degli eroi che toccano i cancelli di casa
dopo lungo tempo, solo questo chiedo
che ogni combattente
trascini la lotta al livello della luce
e baci le rughe sulle nocche del nemico
anche così è la vittoria.
Nel più umano
sventramento dell’attimo
siamo insieme
se siamo vivi.
*
Siamo il getto d’acqua
che ammaestra l’incendio
del dire
siamo la stessa solitudine del soldato
di fronte alla falange
ma la mia guerra avanza
oltre la sillaba il suono la parola.
Si innalza sulla rupe
come l’ultimo grido
dell’umano
la vita la vita la vita
che mentre la dici
fa schiudere le bocche al coro
fa esplodere la boccetta nell’aria.
Io sono lo stelo
invincibile
venuto dal niente
senz’acqua e senza cure
sono la mano che pesca nel gorgo
del tempo
e separa il giubilo dal rancore.
Gli amori degli altri
sono i miei amori
cari corpi di qui
per voi rammolisco
e temo
e se ne amo uno
vi amo tutti.
Miei corpi del sempre
la vostra lava è
il mio fuoco al centro
siete già il mio occhio
che gode in fondo al vulcano
la riga lunga sul marmo
immacolato
è già un segno, la scultura.
Così la vediamo correre sulle acque
palpare l’azzurro desiderosa di prodezze
la vita la vita la vita
che non ha corpo e in sé tutti insieme
contiene i corpi del mondo
che non è essenza di luce
ed è lei stessa la più luminosa delle opere.
Il poeta la incide
timidamente
in un suono
che povertà! che miseria!
la vita è là
esattamente dove
non si può dire
e viene dal buono, dal tocco, dal respiro,
viene divorando la radice
nell’orma smagata dalla pioggia
è lì che si afferma e vive.
*
Verrai da una cecità
gemella alla luce
e ti avventurerai in me
come la più disastrosa delle maree.
Ti amerò in sommità
come uno stormo ebbro
di primavere o un’eco
che non si sgancerà dal suo boato
ovunque andrò sarà per il ritorno
e l’acqua muoverà per sempre
la stessa sabbia sulle rive.
Mi sollevi la muraglia dale fondamenta
il mio gergo splende sulla cresta
di un possente novembre
e chiama i nomi semplici
dall’elenco
sento la tua sete appendersi alle mie labbra
e bere dal mio zampillo
sento il tempo fiatare dentro il vortice
che scatena l’uragano
e fare del nostro sangue il luogo
dove ammutoliscono gli inverni.
Vieni tu
ed è una giornata con tutti denti in bocca.
*
Esiste - disse la voce - esiste
la cagna silenziosa che lecca
la cucciolata nel buio, l’avvoltoio
che celebra il cadavere con un grido.
Ma io ho visto
la scultura sanguinare da una narice
la nascita aprire le fondamenta
delle mura, la capra
spirare sulla pietra sotto gli occhi di tutti
e così
dirsi ti amo è stato
l’istante del coltello che logora
la tela, la vena
e la sua ricca fioritura
di meraviglia.
(Tblisi, maggio 2018)
*
Francesco Iannone è nato nel 1985 a Salerno. Ha pubblicato le raccolte Poesie della fame e della sete (Ladolfi, 2011), Pietra lavica (Aragno, 2016), le plaquette Le belve erranti (Nervi, 2019), Pasifae (Cervi volanti, 2020), L’usignolo di ferro (Roundmidnight, 2020) e il romanzo Arruina (il Saggiatore, 2019).
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