Raffaele Floris, vincitore Premio Poeti Oggi 2023
Intermittenza
Conoscono il patibolo dei muri,
la diaspora dei crocifissi appesi:
hanno aspettato tanto nel sentore
del muschio e del salnitro. Le stagioni
hanno marcato il passo, lo sconforto
si è acceso ed è bruciata la candela.
Che cosa ci diranno, in questa lotta
di spettri che conficcano le punte
delle lancette arrugginite ai polsi?
Che cosa ci diranno dall’esilio
degli orologi? Forse dovevamo
pensarci prima: è bianca intermittenza
quel lume acceso, quel silenzio buono.
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La poesia di Raffaele Floris, composta in perfetti endecasillabi sciolti, si contraddistingue immediatamente per la nitidezza stilistica, l’impostazione lucida, l’armonia e la misura d’insieme. Colpisce la riflessione pacata, ma sempre profonda, sul significato del trascorrere del tempo, rappresentato con immagini efficaci, secondo un metodo affine al correlativo oggettivo, anche se non esente da un certo realismo di fondo che contribuisce alla autenticità dell’impostazione. “In questa lotta di spettri” che domina la composizione, con una tensione drammatica sempre alta, amplificata dalla successione delle domande, tutto si ricompone in “bianca intermittenza” (come anticipato dal titolo) a sottolineare la presenza di “quel lume acceso, quel silenzio buono” del verso finale, suggello a una possibile pacificazione del conflitto, possibile anche se non definitivamente risolta (“Forse dovevamo / pensarci prima”).
Fabrizio Bregoli
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"Intermittenza" di Raffaele Floris è un testo piuttosto breve ma generosissimo, dove ogni verso si dona al lettore nella pregevole costruzione di immagini intense e colme di significato. La poesia si sviluppa in un unico respiro, grazie al ritmo incalzante che non concende spazio alla titubanza, anche negli episodi dove il poeta procede per interrogazioni. Qui il tempo è un tragico nemico e un luminoso alleato, un'entità palpabile che si incarna nella vita di tutti gli esseri viventi ma è nella congiunzione con l'essere umano che il passaggio dei giorni acquista quell'ineluttabile fatalità che il poeta decide di affrontare in maniera definitiva. Così quel “Forse dovevamo / pensarci prima” diventa una magnifica dichiarazione d'amore per l'esistenza che sfugge, così sentita e potente da rendere amico e compagno il silenzio della solitudine.
Luca Bresciani
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Poesia carica di mistero e allo stesso tempo molto concreta, quella di Raffaele Floris. Ci sono elementi materici, come il "muschio" e il "salnitro", ed elementi simbolici come i "crocifissi", gli "spettri", gli "orologi". Floris scrive delle stagioni, del tempo che scorre inesorabile. L’"esilio degli orologi" è l’esilio del tempo. "Esilio", "diaspora", "intermittenza" sono tutti termini che indicano un movimento, qualcosa che non sosta, che non si quieta. Bellissimo il secondo verso: "la diaspora dei crocifissi appesi", bello il contrasto tra la diaspora e l’immobilità dei crocifissi. D’altronde, il crocifisso, nella sua apparente fissità, è il simbolo di una grande migrazione, quella fra la terra e il cielo, fra la vita e la morte. Nella poesia di Floris tutti gli elementi: le "stagioni", "le punte / delle lancette arrugginite ai polsi", gli "orologi", sembrano raccontare questa migrazione costante. E di fronte a questa inafferrabilità del tempo, siamo sempre o in attesa ("Che cosa ci diranno, in questa lotta / di spettri…", "Che cosa ci diranno dall’esilio / degli orologi?") o in ritardo ("Forse dovevamo / pensarci prima…"). Gli ultimi tre versi sembrano celare un sentimento di rimpianto o di rassegnazione: "… Forse dovevamo / pensarci prima: è bianca intermittenza / quel lume acceso, quel silenzio buono." Il "lume acceso" e il "silenzio buono" sono la stessa cosa: la stessa "bianca intermittenza", quell’intermittenza (che è anche il titolo della poesia) alla quale avremmo dovuto "pensare prima", ma che sfugge alla nostra comprensione.
Claudia Di Palma
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Sembra di sentirlo, il ticchettio dei secondi, di lettera in lettera. Sembra di vederla, l'attesa dei minuti, l'immobilità delle ore. Nel tempo eternità e istante, nel silenzio tra un salto e un a capo, la presenza si smarrisce e si ritrova, come la musica nello spazio tra due note.
Annunziata Felice
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Come descrivere l’impermanenza, il tema del tempo, con quale lingua? Floris risponde attraverso il proprio peculiare percepire, così pacato nel manifestarsi, che ben si sostanzia nell’eleganza misurata della sua tecnica espressiva priva di attriti. Quel che salta agli occhi è un dettato fisico e metafisico dove passato e futuro si specchiano nel momento di sospensione del presente, l’unico che conta davvero, dove orizzontale e verticale s’incrociano al millimetro generando dubbi e interrogativi. C’è malinconia, e vuoto, disincanto esperienziale e un qualcosa di simile all’accettazione ultima delle cose ad attenderci oltre la soglia di questi versi esistenziali che celano e svelano in egual misura, così evocativi nelle immagini da incidere la carne delle nostre coscienze, modificandole, nella maniera confacente all’arte nella sua forma migliore.
Gabriele Borgna
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Raffaele Floris è nato a Pontecurone nel 1962, ove vive tuttora. Ha pubblicato: Il tempo è slavina, ed. Lo Faro (Roma 1991) – silloge poetica; L’ultima chiusa, ed. Joker (Novi Ligure 2007) – silloge poetica; La croce di Malta, puntoacapo (Pasturana 2013) – romanzo breve; L’òm, l’aşi e ‘r pulóu, PiM ediz. (2016) – detti, proverbi e filastrocche in dialetto pontecuronese, con cenni di grammatica; Mattoni a vista, puntoacapo (Pasturana 2017) – silloge poetica; Senza margini d’azzurro, puntoacapo (Pasturana 2019) – silloge poetica e La macchina del tempo, puntoacapo (Pasturana 2022) – silloge poetica.