Grazia Procino, "Filottete ovvero i vuoti ancora da sfamare", peQuod, 2023


Filottete contemporaneo

Io sono stato molto solo.
Sono molto solo: ho
una casa assai spaziosa,
mobili pochi, non mi servono,
solo la credenza che contiene le mie medicine
è assai ampia. I miei malanni
mi costringono a prendere a ogni ora
pillole su pillole.
Potrei elencarvi in ordine alfabetico
ciò di cui soffro, ma non voglio
rattristarvi.
Forse, è per via delle malattie
che la gente mi evita,
mi guarda con circospezione.
Ogni essere umano sano dovrebbe vivere
accanto a uno malato, fin da piccolo
e non subirebbe alcun trauma,
giunto all’età adulta.
Invece, si decreta il distanziamento sociale
e fisico per la malattia
ed è la morte per l’anima.
Io sono morto prima di me stesso.

*

I vicoli corti sono
brulicanti di voci
mendicanti di rumori
nel via-vai frenetico
di donne
che si ingegnano a stare
al mondo: tu ridi
io pure
al gioco beffardo della morte.
Nel nome del dolore ti chiedo
di non arrenderti prima
che il vento gelido sconvolga
le tue chiome e l’urna
accolga le tue sfatte membra.

*

Ti porto in salvo,
tu ombra,
io a ricordare
la tua figura
nelle foto ingiallite
con le cornici d’argento.
Sconfiggo il tempo
nella lotta improba
tra vivi e morti.
L’ alito ancora caldo,
le note di una canzone,
parole strozzate nella gola –
sei tu, al di qua del tempo.

*

Aspetto sotto un cielo sghembo e
stelle intermittenti
di disseppellire parole feconde. Forse
arriveranno per uomini
così distanti dal cielo da sembrare di esser nati
sotto terra. Eppure
mi basterebbe cogliere l’istante,
un fulmine acceso
quando reca l’anima del mondo e
ne scalda il cuore
fino a placare le tempeste flaccide e
le tormente fastidiose. Sommessamente
con parole che sanno di niente
porgo i miei ossequi alla vastità
di una natura
che mai mi riuscirà di abbracciare.

*

Certe sere è più opaco il tramonto
quando non vuoi uscire coi pensieri
e ti affacci solo dal balcone
sguarnito di seggiole di paglia.
Un tempo fu là che si incontrarono
al vespro i tuoi nonni
uno di fronte all’altra a lanciarsi
fugaci eppure profonde intese.
È arrivato il vento caldo dello scirocco
l’attesa è terminata:
l’eco di parole antiche prendono
corpo. La tua ombra parla.

*

Ogni lacerazione dalle abitudini quotidiane
non è altro che violenza e morte.
So che è così.
È strappo feroce
senza risanamento.
Voi dai comodi riti, lo sapete?
Conosce questo dolore irrisarcibile
Filottete e insieme a lui
tutti gli uomini abbandonati.
È morte sociale. Il terrore si insinua
potente
nelle ossa e prende casa.
Non si scolla più.
Rimane infisso.

*

Gli dei sanguinano
quando si accorgono
di essere stati
beffati.

(E tu, invece, ridi beffardo:
eh, già, ma tu non vuoi essere
più il mio dio che sta accanto
nella gioia e nel dolore).

Il segreto è guardare
oltre la finestra
quando il dolore non va giù,
rimane in gola,
nello stomaco un macigno,
a rantolare, a gorgogliare.
È rimasto nulla da dire:
il segreto è vomitare
il dolore, specie
quello che accarezziamo.

*

Grazia Procino, docente di Lettere presso il Liceo Classico di Gioia del Colle, ha pubblicato haiku in due raccolte collettive edite da Fusibilia, la raccolta poetica Soffi di nuvole (Scatole parlanti, 2017) e i racconti Storie di donne e di uomini (Quaderni edizioni, 2019). Nel 2019 ha pubblicato la silloge E sia (Giuliano Ladolfi Editore) e nel 2021 è venuta alla luce la terza silloge poetica Di albe e di occasi (Macabor).





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