Francesco Cagnetta, "Insolvenze", La Vita Felice, 2024
Ho un passato a cui obbedire
due occhi da portare avanti
ma i nostri corpi servono solo a riposare
l’orologio singhiozza da entrambe le parti.
Così non siamo che la fine
il passo che si sfila
per non prendere distanza
sentinelle vuote
senza alcuna intenzione.
*
Il seme è tornato sconfitto
al momento non ho figli
che non siano sagome
da riempire.
Così uccido non solo me
ma tutti i mille e mille anni
che mi hanno dato in dono
questa carne per avvoltoi.
E allora sarà questa la voce
che mi sono dato
il bimbo che scende dalle scale
per cercarmi
dove non potrò arrivare.
Allora sarà questa la voce nuda
e la mia ossessione
di essere vena interrotta
materia senza movimento
il risultato della sottile distanza
tra me e il non esistere.
*
Contiamo il tempo sul palmo della mano
pochi secondi fa ero Adamo
e mentre l’Universo saliva
sulla ruota dei millenni
io mi sono leggermente voltato.
*
Per quanto mi sforzi di immaginare il vuoto
che avrà la mia faccia sul punto di morte
per quanto mi stringa a ricordare le sembianze
di quando ero poco più che polvere
mai saprò quali ossa dureranno più delle altre
da quale parte il corpo inizierà a darsi alla terra.
Con questa certezza, rinuncio anche alle parole
al chiarore delle pagine
pur di trovarvi nella casa sicura che eravamo
e venire a suonare il campanello
con la solita faccia da scemo
con la stessa paura con cui
ho lasciato la mano
per fare il primo passo.
In quel preciso istante ho iniziato a morire.
*
Mio padre parla al gatto dei piccoli risparmi
della casa e della terra.
Poi cala il velo e sbotta:
«Tanto andrà a finire tutto nella bocca
degli altri».
Il gatto ammicca, poi sguscia via
proclamandosi erede universale.
*
«La poesia non muta nulla.
Nulla è sicuro, ma scrivi».
Così scriveva Franco Fortini
così dicevo io, ancora prima
di conoscerlo. Tu scrivi
che il mondo non cambia
e non cambi nemmeno tu.
Tu scrivi come fossi agnello
in mezzo alla savana.
*
Mi lego alla vita e scrivo poesie
per grado di profondità
uso la trivella – al posto della penna –
per forare ogni velo della pelle
e cadere
e tornare ancora a galla
e incidere ogni singola parola
e sbattere la lingua su strati
di versi stranieri.
Io la penna, io l’occhio
sospeso
e deluso.
Piano terra.
Meno uno.
*
L’anestesia dura il tempo di prelevare,
comporre, rimettere nel corpo.
Poche pietre di sangue
per ricevere un cordoglio
poche pietre di liquidi
tirati senza parole
e schiume che ci scrutano dal domani
come fossimo macchiati, già estinti.
*
Francesco Cagnetta è nato nel 1982, vive a Molfetta (BA) ed è un avvocato. Ha ricevuto molti riconoscimenti in concorsi e blog letterari; suoi testi sono contenuti in diverse antologie di ricognizione della poesia italiana e pugliese, tra cui I Cieli della Preistoria. Antologia della nuovissima poesia pugliese, edito da Marco Saya nel 2022, a cura di Antonio Bux. Nel 2017 esordisce nell’antologia Trittico d’esordio, a cura di Anna Maria Curci (Edizioni Cofine), a cui seguono Pianeti di carne (Transeuropa Edizioni, 2020) e Il mare beve me stesso (Arcipelago Itaca, 2021).
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