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"Fresco di stampa": Giorgia Mastropasqua, "Al mondo vuoto", Controluna Edizioni, 2024. Segnalazione di Claudia Di Palma

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Ho questo corpo una sezione di tempo senza inizio e senza fine è il suo credo estatico funesto non posso esimermi se amo viaggiare non posso conservarlo l’allegro sacrificio delle molte e delle simili non esclude la salvezza introversione necessaria dura il tempo di un ritmo di sillabe. * Al castello Sulla pietra, nella polvere sono cerchi e semicerchi i lombrichi sono segni residuo di parole rotte, cadute per terra o forse baccelli di un altro discorso. * Laziali Un suono si rinnova rifulge la memoria del foglio bianco in un autunno ancora così dolce in alto tutte le foglie in strada tutte le gonne avversano la muta. Nei miei passi suono della borgata senza dettaglio di particolari lunga e scabra, foglio brunito senza botteghe, estro né attenzione. Senza dolore. Sulla pelle solo il tepore dei molteplici eventi a venire e il nostro addio, fra i lotti azzurri i baci notturni dei solitari, assassinati davanti a tutti, l’odore di amido e di coriandolo. E mi scoppia il cuore in questo tea

Giada Borgagni, quattro poesie inedite

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Copre le spalle uno scialle, di chi sottovoce non tace un giudizio. Non si scopre le gambe, la pelle secca, mani d’iris e vene. Anche tua madre portava i segni, che io stessa ho inciso sulla tavoletta d’argilla. I pranzi aprono confidenze: andarono a convivere dopo un mese, e poco dopo nacque mio padre. * Che siano altre creature a vegliare sul letto di chi concepisce a pancia scoperta, e vede rimarginarsi la porta. Ma la mano non sceglie l’intreccio, non si lega ad incastro. La pietra del fianco, passione che porto nel nome: si svela in faccia il mio segreto. * I miei nonni si erano preparati alla vecchiaia, avevano farcito il nido il coniglio con le olive. I figli tiranni o poveracci, restituiranno il latte tranne uno, il padre di mio babbo se n’è andato, non si è più presentato e ha lasciato per mare, il maleficio del sangue. * In strada per giungere al fiume, il ciottolo non sempre si presta al piede un forestiero ha setacciato la traccia la mano al rifugio. Noi sorelle, di onda, c

"Fresco di stampa": Laboratori Critici n.6, 10 anni di Gialla

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Accendere i fornelli per credere ancora nei miracoli e il pentolino con il manico rotto diventa un cucciolo malfermo. È savana la colazione offrendo la gola al telegiornale ma quanta bellezza l’acacia che resiste nella siccità rasoterra del niente. LUCA BRESCIANI, Linea di galleggiamento (2020) * Tutto si riconduce a un cercarsi di complementari gruppi sanguinei tra foreste di vetro e provette siamo uno scambio di liquidi il nostro baciarsi è solo il gusto di un semplice trasferirsi di fluidi e tutto il resto non si sa da dove passi se dal mio cuore arriva poi al tuo o si perde per strada, tra questo traffico che ci opprime l’asfalto nelle ore di uscita dalle fabbriche il cemento e tutte le altre sostanze radioattive come farfalle le vedo volare. CLERY CELESTE, La traccia nelle vene (2014) * Quanti cedimenti alla banda, l’uno che vuole essere parte ma non gregario, l’infelice nel suo diaframma di senso, il gesto che tradisce l’esilio. Cosa caverai dal nucleo primo? Qualcuno sta cerca

"Fresco di stampa": Antonio Malagrida, "Distanze", Arcipelago itaca Edizioni, 2024

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raccontano di un dio che può sbagliare che s’infuria per un dente cariato per i prezzi troppo alti delle cure sapessi come trovarlo lo cercherei per una passeggiata invitandolo alla calma a cibi più sani lo pregherei dovesse tornare al principio di farci più attenti alle cose ed in generale un poco più fortunati. * come se la cosa non finisse mai quasi che per diritto mi spettasse un ciclo perenne di postfazioni l’indice dei sonni provvisori una sorta d’autogenesi continua forse una grazia un terno al lotto * Antonio è umano commuoversi avere fame il sapore della panna chiamarsi per nome perdere le chiavi sudare di paura tradire altra questione leggere i graffi sulla parete conservare due scalcinature passare il confine riconoscere l’intonaco sulle unghie di chi appare * seguo la linea invisibile sul muro stupito da meraviglie immateriali e quel fischio strano che non è mio forse tuo nemmeno spero bene arrivi dalla calca, da qualcuno che agiti il cartello col nostro nome tra le mille b

Antonio Sacco, tre poesie haiku

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mais – dentro me nuovi piccoli soli stanno splendendo * malli di noci – dentro ognuno nasconde fragili scudi * sbalzo d’umore – un fiore d’ipomea cade nel fango * Antonio Sacco è nato ad Agropoli nel 1984, vive e compone versi nel cuore del Parco Nazionale del Cilento (Vallo della Lucania, Salerno). È uno studioso e un ricercatore di poesia giapponese (soprattutto di poesia haiku). Ha pubblicato su molte riviste internazionali dedicate a questo genere poetico, oltre a essere l’autore di numerosi articoli sia tecnici sia divulgativi sulla poesia d’origine giapponese. Ha pubblicato due raccolte poetiche di haiku.  Manuale di scrittura haikai. Vademecum pratico per comporre poesie haiku e altri  generi poetici di origine giapponese  è la sua seconda opera pubblicata con Edizioni Nulla Die. La poesia contemporanea in lingua italiana

"Anteprima Portosepolto": Biagio Accardo , "Esercizi di riparazione", peQuod, 2024

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Cofano Nell’aria sfatta di un garage dialoga con cose vecchie, lasciate e dimenticate. Sua vocazione fu la pietra frantumata da gettare lungo i binari della valle, suo altare la spalla annerita di un uomo che fu mio padre. Mansueto, ebbe un cuore sassoso, di gran peso, senza mai lasciarsene sopraffare, reggendo così – cofano sventrato, cofano svuotato – la pietra prima, la polvere ora. * Esercizi di riparazione Riparare, rialzare, aggiustare: ci rimarrà solo questo da fare. Lasciamo a Dio la creazione, l’incessante compito di guidare l’invisibile filo che dal Big Bang conduce sino a noi e, forse, a un altro e più sconosciuto noi. Il nostro è il piccolo mondo degli umani: ci fa cornice solo ciò che ci somiglia: la rondine che se ne va, la neve che si scioglie, il vento che s’acqueta. Forse è questo il compito che Dio ci lasciò quando si separò da noi in un momento che non riusciamo più a ricordare: riparare ciò ch’è rotto, risanare ciò che si ammala, rialzare ciò che cade: in questo, cr

"Anteprima Portosepolto": Pietro Russo , "Tutte le ossa cantano la canzone d’amore ", peQuod, 2024

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Un giro diverso Tra me e te c’è un proiettile due fusi orari il ginocchio di un uomo sul collo di un altro uomo una bambina nera coi dred sguardo truce all’obiettivo scandisce Jus-tice come un disco rotto Solo uno si becca il proiettile mentre l’altro va al bar, prende un caffè però bastava un giro diverso del pianeta e che il sole sorgesse dove tramonta e ti avrei chiamato Havel sopra il tuo corpo chiuso nella plastica gialla * Sotto stelle inquiete Dormiamo sotto stelle inquiete Fingiamo di non essere chi siamo e che niente ci spaventa che una stella risplende per ripicca del buio finché non si stanca e che un led acceso sia richiamo di dispersi e non di falene Dall’altra parte del globo quando mi sveglio e non ci troviamo è già giorno * Un tempo non sapevo vedere oltre le tue spalle. Oltre le tue spalle i leoni mi avrebbero sbranato e digerito. Dico questo sapendo di sembrare ridicolo. Ho imparato nel frattempo a dire Scusa e Grazie . Allora mi mancavano le parole per allestire un

"Fresco di stampa": Antonio Bux, "Poesie", Marco Saya Edizioni, 2024

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Erba Prendo il ciuffo di un’erba che tu ami quello vissuto sulla fronte di tua nonna la sera quando ti cresceva tra le coperte lo raccolgo per te che non sei qui per te che sei tra le coperte degli alberi sotto la terra onesta o forse di lato all’albero che è ora tua nonna così insieme a lei compi proprio i miei passi li unisci ai passi degli altri, quelli scordati dove un’orma è per sempre dove un’orma è mia madre che sale come un albero ad accarezzarmi i capelli e mio padre, e il tuo, e il padre di tutti qui dove prendo il ciuffo di un’erba che tu sei li rivedo ancora una volta, rivedo la mia vita e le vite di chi siamo stati, ora che sono ciuffi e così anche io, sotto la terra, dov’ero sento di essere stato amato. * Primavera Inverno era dire ieri, cielo verde e tocco sul legno, una forma del prato, o una mano quasi, a essere erba. E anche le stagioni che spostano e passano, tornano qui, a indicare foglie di noi, e mini radici. Così oggi è ancora dire, poter misurare al collo la pos