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Antonio Sacco, tre poesie haiku

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mais – dentro me nuovi piccoli soli stanno splendendo * malli di noci – dentro ognuno nasconde fragili scudi * sbalzo d’umore – un fiore d’ipomea cade nel fango * Antonio Sacco è nato ad Agropoli nel 1984, vive e compone versi nel cuore del Parco Nazionale del Cilento (Vallo della Lucania, Salerno). È uno studioso e un ricercatore di poesia giapponese (soprattutto di poesia haiku). Ha pubblicato su molte riviste internazionali dedicate a questo genere poetico, oltre a essere l’autore di numerosi articoli sia tecnici sia divulgativi sulla poesia d’origine giapponese. Ha pubblicato due raccolte poetiche di haiku.  Manuale di scrittura haikai. Vademecum pratico per comporre poesie haiku e altri  generi poetici di origine giapponese  è la sua seconda opera pubblicata con Edizioni Nulla Die. La poesia contemporanea in lingua italiana

"Anteprima Portosepolto": Biagio Accardo , "Esercizi di riparazione", peQuod, 2024

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Cofano Nell’aria sfatta di un garage dialoga con cose vecchie, lasciate e dimenticate. Sua vocazione fu la pietra frantumata da gettare lungo i binari della valle, suo altare la spalla annerita di un uomo che fu mio padre. Mansueto, ebbe un cuore sassoso, di gran peso, senza mai lasciarsene sopraffare, reggendo così – cofano sventrato, cofano svuotato – la pietra prima, la polvere ora. * Esercizi di riparazione Riparare, rialzare, aggiustare: ci rimarrà solo questo da fare. Lasciamo a Dio la creazione, l’incessante compito di guidare l’invisibile filo che dal Big Bang conduce sino a noi e, forse, a un altro e più sconosciuto noi. Il nostro è il piccolo mondo degli umani: ci fa cornice solo ciò che ci somiglia: la rondine che se ne va, la neve che si scioglie, il vento che s’acqueta. Forse è questo il compito che Dio ci lasciò quando si separò da noi in un momento che non riusciamo più a ricordare: riparare ciò ch’è rotto, risanare ciò che si ammala, rialzare ciò che cade: in questo, cr

"Anteprima Portosepolto": Pietro Russo , "Tutte le ossa cantano la canzone d’amore ", peQuod, 2024

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Un giro diverso Tra me e te c’è un proiettile due fusi orari il ginocchio di un uomo sul collo di un altro uomo una bambina nera coi dred sguardo truce all’obiettivo scandisce Jus-tice come un disco rotto Solo uno si becca il proiettile mentre l’altro va al bar, prende un caffè però bastava un giro diverso del pianeta e che il sole sorgesse dove tramonta e ti avrei chiamato Havel sopra il tuo corpo chiuso nella plastica gialla * Sotto stelle inquiete Dormiamo sotto stelle inquiete Fingiamo di non essere chi siamo e che niente ci spaventa che una stella risplende per ripicca del buio finché non si stanca e che un led acceso sia richiamo di dispersi e non di falene Dall’altra parte del globo quando mi sveglio e non ci troviamo è già giorno * Un tempo non sapevo vedere oltre le tue spalle. Oltre le tue spalle i leoni mi avrebbero sbranato e digerito. Dico questo sapendo di sembrare ridicolo. Ho imparato nel frattempo a dire Scusa e Grazie . Allora mi mancavano le parole per allestire un

"Fresco di stampa": Antonio Bux, "Poesie", Marco Saya Edizioni, 2024

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Erba Prendo il ciuffo di un’erba che tu ami quello vissuto sulla fronte di tua nonna la sera quando ti cresceva tra le coperte lo raccolgo per te che non sei qui per te che sei tra le coperte degli alberi sotto la terra onesta o forse di lato all’albero che è ora tua nonna così insieme a lei compi proprio i miei passi li unisci ai passi degli altri, quelli scordati dove un’orma è per sempre dove un’orma è mia madre che sale come un albero ad accarezzarmi i capelli e mio padre, e il tuo, e il padre di tutti qui dove prendo il ciuffo di un’erba che tu sei li rivedo ancora una volta, rivedo la mia vita e le vite di chi siamo stati, ora che sono ciuffi e così anche io, sotto la terra, dov’ero sento di essere stato amato. * Primavera Inverno era dire ieri, cielo verde e tocco sul legno, una forma del prato, o una mano quasi, a essere erba. E anche le stagioni che spostano e passano, tornano qui, a indicare foglie di noi, e mini radici. Così oggi è ancora dire, poter misurare al collo la pos

"Blocchi di partenza": Fabrizio Bregoli legge Elia Carollo

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Che fai? Che pensi? Ed a chi t’ispiri quando, seduta, fissi il muro e credi sia tutto falso. Deambuli in sedi distaccate, detesti i tuoi sospiri che spargi; scivoli oltre gli spiriti in un fondo scuro. Ora vedi te dilatarti, cerchi in sieri medici il sollievo – rallenti i respiri: basta così. Ludici passatempi stringono nodi attorno i tuoi fiati, ed io (metodico, dico) scompaio. Chiudo palesi inganni nel solaio dei ricordi sopiti; dimezzati sono, da ieri, tutti i nostri tempi. * Elia Carollo si cimenta nella forma principe della tradizione poetica italiana: il sonetto, sintetizzato a monostrofa di quattordici versi, tutti endecasillabi (forzati anche con alcune dieresi), e uno schema di rime rigoroso, che include anche scelte metricamente raffinate come le rime “sospiri”/”spiriti” e “”vedi” / “medici” che giocano sull’accentazione sdrucciola dei secondi termini della coppia. L’incipit, di evidente ascendenza petrarchesca, inizia il dialogo interrogante con un’interlocutrice chiusa nell

Monica Savoia, cinque poesie inedite

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Sorpassa ruminando Il cielo questa Terra nebulosa più Dell’acqua, Vapore liscio Che chiamano immanenza ben Prima ancora di stendere le ali. Ma se questo è il mondo Dov’è che oseremo un’intuizione, Siediti e ricama, Annusa questo niente che ti plasma, La speranza di cui si fanno povere le mani. * Forse il congedo Partirà dagli occhi Ultima lama ferale Al petto intrusa Notte che si abbevera Ai breviari abbandonati Su ciottoli notturni Ombre ricalcate Di chi riluce nel crepuscolo. Forse a saltare Sarà la venuta al mondo Delle idee, degli abissi Intrecciati a stelle Dispettose a farsi beffe Di ogni vivere e morire. Forse l’ovale Non reggerà più il viso E a restare sarà solo Una presa in contropiede Nella foce discrepante Dove a roteare si ostina soltanto Questo cumulo di nervi. * All’ombra di ogni alba Tramonterà il ristoro Che ti è toccato Per difetto, E ancora ombre si allungano Sui declivi dell’armonia Le spemi a rimpiazzare, Ai margini di nuove morti In fasce, dove l’uggia Ci troverà d

Mary de Rachewiltz, "Processo in verso. Tutte le poesie italiane", Bertoni Editore, 2024

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Lena sterile Molto di te si dice, Lena al tuo paese, molto di te racconta la Tecla agli uomini in caccia di frottole. Ma nessuno ha udito l’asma dell’SS in licenza arrancare per il ruvido palo alla tua finestra socchiusa. Neppure i tonfi soffocati della Mauser e degli stivali. “Es muss gehn — ce la farò”. E invece no. Dopo Stalingrad grande grosso e impotente, soltanto un nido di lendini generò sul tuo ventre. E ti ci vollero tre mesi per crederci, e nove mesi per ucciderle, una ad una. * La stanza La stanza perfetta contiene le quattro porte due ad arco e due quadre. Chiusa è la prima agli immediati dintorni la seconda sprangata alle occasioni. Per non girare le restanti maniglie siedo alla finestra del caos a contar stelle perché so che la terza conduce verso la casa degli spettri e l’ultima dà sulle trombe del nulla. * Il solo amico Animo mio, fatti vedere. Tu lo sai quanto mi vergogno a percorrere sola le strade del mondo. Ovunque vado, vedo che sono in due uniti per amore o per ca

Eleonora Federici, tre poesie inedite

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Ginestre Vorrei tanto scrivere versi come Leopardi su monti – sterminatori ginestre e altro le mira mia mamma sulla strada – di – Piscille e vorrebbe coglierle strapparle con le cesoie come fanno i serial killer o qualche lupo – cattivo con i fiori – della – giovinezza ma sono troppo vecchia per scrivere * Margherite mi sono vista maschio un tempo mentre coglievo le margherite nel parco era un mazzo per la mamma immaginavo di fare la – pipì – in – piedi era più comodo che accovacciarsi e il blu dei grembiulini era più bello del rosa non volevo essere una Winx – volevo Batman o Goku per vincere il male – nel – mondo i supereroi sono maschi e fanno loro la storia non resta che strappare margherite da dare alla mamma * Rosa rampicante immagina una pianta colorata – di – significato per me, era la rosa rampicante e ogni spina disegnava la corona – di – Cristo quando non c’eri l’abbracciavo nell’Eden del centro – diurno sopperivo così alla mancanza dei no – delle botte – tossiche per me, la