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"Anteprima Portosepolto": Tamara Vitan, "La salvezza compie passi piccoli", peQuod, 2025

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Si scende piano. Troppo tardi ho compreso la lentezza del diventare piuma. Il mio volo è caduto, si è franto al sorgere del bene. Smarrita attendo un cenno divino che guidi lui il mio fluire che mi faccia capire qual è l’alto e perché il cielo sembrava la terra. * Fino a ieri il tempo era ancora tempo. Adesso mi stancano le definizioni. L’attimo si dischiude sa farsi fiore. * L’ora è già qui delle cose che tacciono. L’ora che salva dalle inquietudini. È tempo di deporre i fardelli ai piedi della croce. La salvezza compie passi piccoli. * Parte da un altro mondo. Si deposita cauta sulle falangi delle dita come inchiostro che vuole raccontare una visione. Captare la vita agli albori attraverso le impronte. * Non c’è una realtà specifica che definisce le emozioni. È un’alterazione non concepibile alla mente. Vive di ambiguità e fremito percorre sentieri sicuri su impronte sconosciute rilasciando ad ogni passo il tremore dell’impossibilità. * C’è un suono dentro al quale si snoda il presen...

"Anteprima Portosepolto": Daniele Giustolisi, "La condizione dell’orma", peQuod, 2025

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Da questa parte del ventre tutto il bianco della luce è chiarezza che confonde, e disamina misure età che perdurano, ore esatte che scontornano fiati e ombre. Ma tu porta ai nostri occhi la riva buia della tua terra, quel frammento di sponda che scioglie i nodi della domanda, mani che toccano il duro grembo senza dire, senza sapere davvero se quello sia corpo terrestre o altro sperduto confine. * Obbedisce dai margini l’amore. Dall’angolo più nascosto della casa nulla dice di sé, nella dura veglia del nome. * Doni l’ascolto che onora e incendia la parola, il suo spazio bianco che ospita la sera, porto d’ogni nome bacio per ogni pena. * La vela sul filo del mare non scompare. Tiene a sé la costa quando è quasi sera, polvere di fuochi, luci, richiami. Il suo porto chi può dirlo? (Rari i gabbiani nell’ora di pochi occhi, orme come pioggia luminosa sul manto muto della terra). * È questo Punta San Giorgio: la luce bianca che visita il tuo volto come una grazia scesa nell’ombra; e giù la co...

Valentina Casadei, quattro poesie inedite

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Pazientare nell'incontinenza dei lamenti nell'aggravarsi del mio respiro corto le solitudini che mi sfuggono dalle dita e la ferita visibile che collega i miei poli stagionali di spalle, nell'angolo della classe delle orecchie d'asino sulla nuca Tengo un diario di silenzio * È ritrovarsi sola la donna con una montagna di domande un ritardo assurdo, delle risate terribili è essere raccolta con il cucchiaino il patrimonio della vergogna un materasso impacchettato, delle chiavi ingoiate è salutare la tempesta il pollice alzato sul ciglio della strada una bellezza troppo amata dei parcheggi riservati solo alle famiglie Il mio sogno nelle mani di un’altra * Questo è tutto ciò che i silenzi mi dicono: l'albero che hai piantato crescerà senza di te e se solo il mio grido potesse chiamarti il fantasma diventerebbe ombra benedetta guarigione per seconda intenzione protezione prima di una radiografia Ora, c’è qualcuno che si gode il meglio di te? * Nel fitto delle canne la lu...

"Fresco di stampa": Prisca Agustoni, "L’animale estremo", Interno Poesia, 2025

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disfare un mondo per erigerne un altro: cocci rifiuti vibrazioni la scavatrice spacca la terra pietra levigata che intaglia la civilizzazione del rumore e del vetro. Mentre i bulldozer squarciano le viscere della città alla ricerca della sorgente, del cuore sanguinante dell’animale, si aprono ovunque dei pozzi dei canali delle vene dei bacini vicino al parco : noi, al riparo dalla demolizione e dalla cenere, aspettiamo che l’istinto di vita resista, nonostante lo scavo, e fioriscano le ortiche invisibili e primitive le radici * un disastro di fuliggine e cenere così dev’essere stato il primo giorno la costruzione e la rovina assediando la pianura poi, di getto, lì in mezzo              la torre questa sfida infinita per confondere il destino della gente e tra la faglia e lo spavento erigere una città un limite intimo dove vivere è la nostra condanna * Prendere i blocchi in lego di tuo figlio per dimenticarti di tutto, giocare agli ingegneri e costruire...

"Fresco di stampa": Adriana Tasin, "Voragini d'azzurro", Interno Libri Edizioni, 2025

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sebbene fossimo ciechi ci fu assegnato il potere di vedere con le dita – per un tempo breve l’incendio dello sciame di pietre osammo acrobazie per annodarci alla morte nostra sposa * le montagne a guardarle dal centro città paiono celesti, e blu le più vicine, mai diresti che sono di un altro colore e, quando svaniscono al tramonto, restano a separare: le radure | le case | i treni | i mari | le pianure | le autostrade | l’ade * potrebbero essere gioie se scendendo a valle ti venissero incontro le albe si levassero di nuovo le voci                sparite invece devi percorrere la cresta in equilibrio scollare lo sguardo dalle mani cercare sempre più in alto il grido * assorto e raccolto, appoggiato alla parete in aderenza, sei due volte fessura e crepa – poca luce dentro – come un cieco tastare a bocca aperta l’inverno l’averno silenzio nevica sulle spalle aria solida di vuoto dunque, alla montagna, tracciata la via del trambusto delle mani del tu...

"Fresco di stampa": Antonella Sica, "Corpi estranei", Arcipelago itaca Edizioni, 2025

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Era una casa divisa in gabbie perimetri di fiato e dolore corpi estranei cuciti dal sangue. A tavola a ognuno il suo posto geometria instabile dei pasti, la luce piombava dall’alto un ritratto di famiglia elettrico. Corpi stretti nella notte alle coperte galleggianti nella trama dei respiri la sveglia scandiva l’assenza ai miei occhi spalancate finestre alla fuga. * Persiane lame di luce tagliavano la gola alla domenica l’arrosto tormentava l’aria con la sua pretesa di festa in comune coi morti avevamo la resa. * Luci sul porto, rosso che trema vecchia mano distesa sul mare ferito dalle chiglie di passaggio. Si apre alla preghiera ogni increspatura inquieta di chi attarda lo sguardo sull’acqua nera prima di chiudere gli scuri. * La sabbia nei muri trema una nostalgia cava di montagna frantumata, nei trucioli la porta scricchiola una memoria d’albero la begonia sembra smarrita nel vaso. Quel corpo di donna disteso senza sonno cerca una radice da piantare la notte chiusa fuori dagli scur...

Caterina Golia, tre poesie inedite

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Non è più attesa. Se guardo bene non verrà nessuno da dietro il portico se guardo bene quelle scritte sono già sbiadite. Non è più attesa questa fine di una voce, non è mai stata sospesa. È il suono che vorrebbe essere dolce di una voce che si allontana. * Sulle tue braccia nude soffio il mio respiro ma sono troppo distante, allora immagino di essere quella luce così forte che entra dalla tua finestra. * Il tuo un pensiero contaminato lercio di smog cittadino. Cammino e ti sporco pensandoti intanto un cane passo lungo il portico marca il territorio il viso di un uomo si alterna tra le colonne la sigaretta si fa una con la tua immagine sbiadita. * Caterina Golia (Portogruaro, 1999) vive e lavora a Bologna e collabora attivamente con il Centro  Culturale Giacomo Leopardi di Recanati. Da sempre è appassionata di fotografia e scrittura. Alcuni suoi testi inediti sono presenti su siti web e riviste. La poesia contemporanea in lingua italiana

"Anteprima Portosepolto": Andrea Tuccini, "Le case chiuse", peQuod, 2025

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Annunciazione Il tramonto sembra avere più fretta, come le cose raccontate da chi ha poco tempo: sarà perfetto ascoltare le nubi in lotta, mentre l’aria intorno raffresca. Un tempo la mia vita intercettava moti che annunciavano tempesta; ora mi sciolgo a ombre non mie, rassereno anche se fuori piove. È giunta l’ora di guardare altrove: al panorama sconfinato, dove nessuna estate langue. Che arrivi, dunque, la bufera, gli alberi si scuotano nel vento; non c’è nessun angelo a bussare, solo le prime foglie gialle. Ti accompagno, ma non posso entrare. * Raccontami dei vivi Raccontami dei vivi e potrai fermarti nel mettere male il piede alla conquista della memoria, una strada di montagna dove è impossibile tornare indietro. Sai che non ho paura? In quelle case abbandonate che il tuo sguardo spalanca non vi abita più alcun fantasma. * Nave in fiamme Non è vero che resta la parola tatuata sul bicipite infiacchito; la polena non irride più le onde e il vascello dal nome che ci tiene uniti chi...

Gian Piero Stefanoni, "La costanza del cielo", Il ramo e la foglia edizioni, 2024

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Tutti gli addomesticabili mondi Tutti gli addomesticabili mondi e gli ordini eternamente riferibili ma sotto qualcuno ha parcheggiato di nuovo di fronte all’uscita - e il mare non ha confini non accettando più di bussare. Così, nel sonno, sei ancora tu l’intruso, l’occhio lungo la spina di pesce, la notte senza riflessi nel giorno che cede alla sete. * Il sogno degli altri Nella costanza dei morti, nel loro tornare e aggiungerti al numero, giunge poi il tempo del sogno degli altri, della spinta che il mondo ti chiede, dell’alba dispersa nei mondi ormai muti. Giunge poi il tempo infestato dalle scimmie, della casa bendata, delle mura bagnate. Giunge poi il tempo in cui finalmente ti trovi. * Dall'Europa Casa è dove hai il tuo mostro. È questo l’odore della morte che si fa abitudine, questo lo scarto del legno che si fa fondamento. Non ha più sorprese la scrittura del mondo. * Il cielo piega la testa Il cielo piega la testa, l’amore guarda e restituisce, senza aggiungere per la notte...

Michela Silla, "Cosa c’è di vero nelle città di mare", Capire Edizioni, 2024

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Vicolo, affacci. Sul davanzale fiori avvizziti, la piccola statua Ganesha muri tutti bianchi                            occhi stanchi di donne alle finestre che sbattono tappeti, stendono panni al sole; odore di pulito e polvere nella luce di settembre niente vuole cominciare. Dall’ingresso di fianco alla chiesa prende per mano un canto. Bambole nel chiostro lasciate sui gradini e dentro             in croce la voce che cantava. * A mio nonno La sedia gialla, il gelsomino dalle case; nell’ombra le mani, piccoli fiumi di vene azzurre. La notte non crede alla fine. * Hai detto: non voglio morire – nella stanza non avevo il coraggio di entrare e chiamavi tua madre, tuo padre. Ferma sulla porta origliare il dolore inventare il mistero che voleva parlarti. Non voglio morire – nella stanza non avevo il coraggio di urlare: sono qui, non è la fine. * Prestiamo gli occhi al cielo quinto mese dell’...